“Ci sono film che non si vedono su di uno schermo. Ci sono scene che sei obbligato a vivere e sulle quali non puoi chiudere gli occhi. Che ti porti dentro e che riaffiorano nei momenti di quiete, oppure, portate da una scintilla casuale. Ogni vita per miserevole che sia è l'unico vero film del quale saremo mai attori e registi. Nel quale non sempre riusciremo a decidere ruoli e finali ma che porteremo sempre con noi, impresso nella memoria più profonda, unica ed esclusiva. Nessuno potrà interpretarci né leggerci bene quanto potremo fare noi stessi che siamo i soli ad avere la visione più ampia e totale delle cose. Il nostro pianto, il nostro dolore, rimangono incisi più a fondo di qualunque altra gioia perché è solo da questi che può nascere la forza di reagire. La nostra carezza più intima sarà il ripercorrere questi fatti scandalosi o tragici con la tenerezza di chi segue fatti destinati ad essere, con la sola certezza che siano inevitabili. Essere per continuare ad essere.”

martedì 24 marzo 2015

Piccoli così

Di Angelo Marotta
Angelo Marotta, regista romano, racconta in 70’ l’esperienza della prematurità di sua figlia Rita e di altri bimbi, dalla nascita ad oggi.
Ci sono Luca, Ascanio, Rita, Vittoria, Aisha, Laura, Antoine, Arianna, Manuel, ci sono le loro incubatrici, le loro storie e i genitori. Le immagini alternano momenti in T.I.N. (Teapia Intensiva Neonatale) a momenti outdoor, in famiglia, con salti temporali dai primi giorni di vita fino ai 18 anni di Laura e ai 15 di Antoine.
Immagini, testimonianze di persone che hanno visto cambiare la loro vita da un vagito; gravidanze brevi, a volte brevissime che ribaltano ogni legge fisica e generano una vita sconvolgendone molte. Non esistono solo bambini prematuri ma genitori prematuri che devono raccogliere le forze, affidarsi ai medici, a chi crede, in Dio, e sperare e lottare ogni giorno accanto a un esserino che li porterà per mano lungo un percorso ignoto e spaventoso ma che li farà rinascere a vita nuova.
La prematurità può portare a gravi conseguenze, a dolore, a volte alla morte eppure, Marotta sceglie la speranza e pur mantenendo un dialogo sincero offre al pubblico la sua visione: l’incertezza, il dubbio, poi lo stupore e l’amore più grande di ogni immaginabile paura che gli consente di realizzare un documentario asciutto e corretto che diventa leggibile a più livelli. Da un lato le famiglie che hanno vissuto il suo stesso percorso che si rivedranno sullo schermo, in quei giorni; dall’altro, il pubblico ignaro che entra in sala in cerca di verità e varcando quella soglia entra per la prima volta, forse l’unica, in una TIN, accanto ad un’incubatrice, ascoltando quegli allarmi, vivendo quei ritmi con uno stato d’animo che diventa qualcosa di più di quello di un semplice spettatore. C’è tenerezza, spavento, angoscia ma anche gratitudine per aver mostrato senza autocelebrare, un microcosmo nel quale si entra per caso o non si vedrà mai.
C’è di più: i racconti affidati ai genitori vanno oltre la sopravvivenza ed ecco che il focus si sposta su come si sopravvive. Molti bimbi devono solo crescere; per altri non sarà così semplice. Una breve gestazione può comprometterne lo sviluppo e causare ritardi e difficoltà ma quello che rimane, quando si riaccendono le luci è l’immagine di bimbi che, nonostante occhiali o protesi, giocano felici in un prato, continuando a sfidare le dinamiche sociali come hanno già fatto, con quelle della natura. Anche nella disabilità, laddove subentra, c’è normalità ed il dono che queste famiglie hanno ricevuto va condiviso con chi  non potrà mai capire. I bimbi “piccoli così” mettono sotto una nuova lente la vita di tutti i giorni e la mostrano immediata e bellissima per come essa è; non c’è sgomento ma solo gioia di andare avanti e crescere in chi, nei primi mesi, ha già vinto la sfida più grande. Quella con la vita.
Li chiamano i “piccoli guerrieri”. Dev’essere vero.
Tante emozioni in pochi minuti per la pellicola di un regista intelligente che con un buon montaggio riesce a spiegare dinamiche complesse ed a volte imperscrutabili.
Fra i premi raccolti anche il premio Unipol per la distribuzione al Biografilm festival di Bologna. Menzione speciale a Valeria Adilardi che ha creduto nel progetto, producendolo.
Bello.

venerdì 20 marzo 2015

Birdman

di Alejandro Gonzalez Inarritu
USA 2014

Riggan Thomson ha alle spalle un successo planetario come star cinematografica della serie fantastica “Birdman”, un supereroe con costume da uccello che ha stregato il pubblico. Ma questo accadeva negli anni novanta. Dopo l’estasi mediatica, spenti i riflettori, esaurita l’aura iconica, deve fare i conti con alcol e droghe, l’assenza dagli schermi e la consapevolezza che “la sua salute è durata più dei suoi soldi” così, s’imbarca in un’impresa titanica: riscattare la sua carriera portando a Broadway uno spettacolo drammatico, un riadattamento ambizioso di un classico, con attori talentuosi che rischiano solo di fargli ombra. Riggan sfugge alla voce della sua coscienza e vuole dimostrare che ha talento, non solo un costume con le piume.
Ma la strada del successo, quello vero, quello della critica, è lunga e tormentata.
Dal genio di Inarritu, il film premiato con 4 Oscar che parla di spettacolo, di successo ma anche di demoni e di declino. Girato con un mirabolante, unico ed ininterrotto piano-sequenza che porta dentro e fuori il teatro, per le strade di Broadway, sul palcoscenico e nei camerini, è questo un film “nel” teatro “sul” teatro ma anche sulle debolezze umane; la vita dopo il successo, cosa accade a chi l’ha vissuto. Riggan vive all’ombra di una celebrità patinata che non ne ha mai rivelato le doti artistiche e lo spettro di essere stato costruito solo come personaggio ma non aver mai imparato davvero l’arte della recitazione aleggia per tutta la durata del film. Il suo dialogo interiore accompagna tutta la vicenda e il dubbio che parli con un’entità sovrannaturale che fa parte di sé, trasforma la sua vita in un mistero che svela potenti poteri paranormali che non trovano mai una vera manifestazione pubblica. Il suo potere così come il suo talento restano nascosti nel suo e sarà la via della follia ad aiutarlo a sprigionarli. “Birdman” descrive il mondo del teatro per come il pubblico lo immagina, coi suoi veleni, gioie e dolori, la scalata al successo, gli intrighi e le paure  inserendo però l’elemento soprannaturale che lo mostra sotto una luce inquietante, indefinita, tra realtà ed assurdo.
Forse troppo lungo, claustrofobico e a volte lento ma accattivante al punto da far sentire “a casa” grazie anche alla scelta degli attori adeguati ai ruoli: Michael Keaton (Riggan) e Naomi Watts(Lesley) con le loro rughe cinquantenni ed Emma Stone (Sam) col suo incarnato d’alabastro, sotto ogni riflettore. Attori che interpretano attori con storie analoghe tra finzione e realtà, raccontati attraverso una fotografia impietosa che non edulcora i volti scavati né le calvizie incipienti. “Birdman” DEVE mostrare i fatti per come sono e far emergere i fantasmi più reconditi. Lo fa senza troppi patemi, riservandosi un finale surreale.
Campeggia la personalità di Ed Norton, perfetto in ogni circostanza in grado di passare dal ghigno alla dolcezza in pochi secondi grazie al giusto distacco e ad un fascino british  anche se british non è.
Resta qualche perplessità sull’adeguatezza di tanti premi in un film che piace ma non sconvolge, pur rimanendo un’eccellente prova registica.

Bellissima la figura della spietata critica cinematografica che procede come uno schiacciasassi nel processo di purificazione del mondo dello spettacolo dai falsi talenti e che si placherà solo con un tributo di sangue!