di Guillermo Del Toro
USA, 2017
Meno favoloso del mondo di Amelie, più realistico di Edward Manidiforbice. "The shape of water" attinge alla cinematografia più ricca sui freaks, a partire dal soggetto clonato dal "mostro della palude", per arrivare alla scena conclusiva che tanto ricorda quella di "Lezioni di piano".
La sceneggiatura non perde occasione per confermare tutte le certezze dello spettatore, senza un colpo di scena che sia uno, nè i personaggi sorprendono, ben radicati nei loro clichè, eppure...
...eppure è un film da vedere, non per tutti i premi ai quali è ed è stato candidato o che ha vinto, ma perchè è girato con fine maestria. Sorvolando su ambientazione e fotografia da dieci e lode, resta il fatto che Guillermo Del Toro è un cineasta che di cinema ne sa; sa perfettamente che ciò che conta non è cosa racconti ma come lo fai. Sa esattamente su quali emozioni intervenire e come assortirle in quelle due ore. Dal riso al pianto, passando per la paura, coinvolge e stravolge con quel fare strisciante che dilaga, come un pianto dirotto e inarrestabile, sui titoli di coda.Consegna al cinema un apologo del diverso non già emarginato e doloroso come "The elephant man" ma consapevole di sè e del mondo. I suoi personaggi sono tante facce di una stessa medaglia, una schiera di diversi che si incontrano su di un unico ring e si affrontano senza esclusione di colpi, in un gioco al massacro in cui le vittime si fanno carnefici e le spie diventano eroi. Elisa, muta e bruttina, trasuda sex-appeal dopo aver incontrato l'amore, derapando dalla routine perchè ha abbracciato la sua missione, così come Dimitri e Giles. Non serve dunque una disabilità propria o di chi ci è accanto per capire che basta molto meno per essere outsiders; basta smettere di lottare o farsi mettere da parte. Si sceglie di essere ai margini continuando a vivere con coerenza.
Chi stabilisce cosa è diverso?
Da vedere.
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