Italia, 2011
Di Andrea Segre
Li è un’operaia cinese
strangolata dalla mafia e manipolata come una pedina, spostata sul territorio
italiano dove serve, mutevole e camaleontica su richiesta dei suoi “padroni”.
Lavora come un’operosa formica per pagare il suo debito e riabbracciare il
figlio. La scena dominante si sposta a Venezia, tra le sue calli nebbiose e
desolate, umide, fredde, apatiche. Un non luogo sul quale affaccia il bar che
Li va a gestire, tradotto in realtà come una taverna d’altri tempi, punto
d’accumulazione di personaggi che vivono e muoiono lì dentro in attesa che il
tempo scorra e il vino scadi le loro vene.
Li non riesce ad esercitare il
distacco che le viene imposto e cerca un po’ di umanità nei rapporti distaccati
coi clienti, fuori dalle quattro mura che condivide con una compagna con la
quale parla poco ma condivide la schiavitù. Incontra “il poeta” che non le
chiede nulla ma col quale alimenta giorno dopo giorno, sguardo dopo sguardo, un
rapporto tenero ed innocente, in cui due solitudini totali comunicano alla
ricerca di umanità. Scoperta ancora una volta dai suoi aguzzini sarà trasferita
da un giorno all’altro e il rapporto reciso come un fiore. La distanza ucciderà
tutto: sentimenti, persone, leggerezza in un appiattimento verso la
disumanizzazione imposta. Ma il cuore batte nonostante l’oppressione e Li potrà
realizzare il suo sogno seppur a caro prezzo.
Un film semplice, tracciato con
poche battute e molti sentimenti, girato da un italiano, in un Veneto che
anticipa di qualche anno le necessità secessioniste, con un sorprendente
risultato che lo avvicina in modo potente alle atmosfere della migliore
cinematografia cinese.
Interpreti intensi ai quali visi
scolpiti nella pietra e levigati dalla salsedine della laguna è affidato il
duro compito di trasmettere un empatico senso di oppressione e al tempo stesso
di rivoluzione. Compito assolto doverosamente, sul quale regna sovrano il più
profondo dei sentimenti: l’amore materno che va oltre ogni umana
consapevolezza.
Andrea Segre, regista di
documentari, firma per la prima volta questo lungometraggio che arriva diretto
al cuore in un lento percorso evolutivo che nei suoi 98’ scioglie anche i cuori
più duri.
Bellissima Tao Zhao nella sua
interpretazione asciutta e sensibile, concentrata nel profondo sguardo materno.
Rade Serbedzija la affianca dando vita ad un personaggio disperatamente umano.
Intenso
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