di Joe Wright
UK, 2012
Colore, 129'
Russia 1874.
La bella Anna Karenina, sposata
ad un diplomatico russo, conduce una vita riservata e scarna di emozioni.
Dedita al figlio e all’obbedienza al marito, sarà travolta dall’incontro col
conte Vronsky, sensuale avventuriero che ne sconvolgerà l’esistenza spingendola
a seguire i suoi sentimenti fino ad un tragico epilogo.
Il capolavoro di Leo Tolstoj
rivive ancora una volta sul grande schermo, in una rievocazione storica tanto
accurata che è valsa l’Oscar per i migliori costumi.
Presentata in chiave di operetta,
annunciata sin dalla locandina, la vicenda si snoda fra quinte teatrali e luci
da palcoscenico. Ogni scena inizia come se ci si trovasse in un teatro e
prosegue assumendo una dimensione cinematografica. In alcuni momenti salienti,
la visione del palco è lasciata in soggettiva per lasciare libero lo spettatore
di decidere se è tale o attore della scena. Soluzione interessante che svecchia
non poco una pellicola altrimenti poco distinguibile dalle precedenti versioni.
La formula, più serrata all’inizio, si allenta durante la vicenda fino a
rientrare nella tradizionale rappresentazione in pellicola, sostituendo
gradualmente l’impostazione visiva col dramma rappresentato. In questo modo lo
spettatore, inizialmente affabulato dalla magnificenza delle scenografie è
totalmente avvinto e concentrato al destino della protagonista.
Soluzioni per palati fini,
insomma anche perché la durata di due ore metterebbe alla prova chiunque.
Gli struggimenti della bella
Anna, dilaniata fra la morale e il richiamo dei sensi, sono oggi come allora,
una dura critica all’ipocrisia della società che ostracizza chiunque vada
contro le regole, non importa a quale prezzo. Sempre attuale il messaggio ma
forse un po’ datata l’interpretazione dei personaggi che rischiano una mediocre
identificazione da parte dello spettatore. Sospiri e fremiti, linguaggio
oltremodo forbito sono funzionali a catapultare indietro nel tempo sì, ma solo
gli estimatori del genere e ci si domanda che bisogno ci fosse di
quest’ennesima trasposizione cinematografica, dopo la versione del 1997 con
Sophie Marceau fino, andando a ritroso, a quella del Bolshoi, del ’27 con la
grande Garbo e alle primissime del 1910. La lista è lunga e lascia intendere
una grandezza del racconto tale da non poter essere taciuto, ma tra versione di
Bernard Rose e di Wright, a parte vent’anni, ci sono davvero posche differenze.
La scelta di Keira Knightely
esteticamente accettabile, si rivela troppo moderna; la sua eccessiva magrezza
malcelata dagli sfarzosi costumi può essere tollerata fintanto che non è
occultata dalle movenze poco aggraziate e sicuramente troppo moderne, troppo
decise per le abitudini dell’epoca. Il rischio è di trovarla fuori ruolo, così
come Aaron Taylor-Johnson più caricatura che personificazione dell’amante
maledetto.
La scelta felice di Jude Law nel
ruolo del Ministro Karenin, marito di Anna, semi-irriconoscibile dietro a baffi
e occhiali, dà lustro ad un cast che rischia di essere poco credibile.
La versione 2012 della novella di
Tolstoj si salva per l’opulenza visiva che offre ma non arricchisce di molto la
storia del cinema.
Per appassionati del genere.
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