di Daniele Ciprì
Italia 2012
colore - 90
Ricorderò questo film come l'unico che mi ha lasciata a singhiozzare anche una volta accese le luci della sala.
Il cast noto di caratteristi è capeggiato da un Toni Servillo irriconoscibile, stravolto nei tratti e nelle movenze ma così vero e convincente che cattura ed ipnotizza dalla prima inquadratura. Ora sornione, ora ridicolo, a tratti violento, la sua maschera patetica è una sintesi perfetta dell'italiano meno abbiente con il suo bagaglio di miserie e delusioni.
Il ruolo di Nonna Rosa è affidato ad Aurora Quattrocchi che costantemente sullo sfondo per tutto il film, esplode nell'ultima scena chiave, in una progressione violentissima che la trasforma in un'erinni diabolica, per poi tornare remissiva e taciturna. Domina il primo piano lunghissimo, inchiodando la platea con questa personificazione della mafia che parla per sua bocca e che schiaccia la volontà di tutti gli astanti senza possibilità di replica.
I toni comici s'insinuano nella trama tragica attraverso mille piccole sfumature pronte ad esser lavate via dall'epilogo aberrante. Il coro, nei panni di uno spettatore in abito scuro, sottolinea i punti salienti.
Sopra tutti i personaggi, incombe il senso di tragicità come in un teatro di pupi che abitano nelle mura di un castello, inespugnabile come il caseggiato dei protagonisti. Ed ancor più incombente è il senso di devastazione e di assoggettamento all'idea di mafia per cui tutto ciò che avviene viene reso e fatto in famiglia. Tutto ciò che accade ha senso solo se riconducibile ai soldi. Anche gli affetti sono un mezzo per sbarcare il lunario e dalla disperazione più cupa può nascere la speranza di una vita migliore, anche se solo agli occhi di chi guarda.
Il sentimento di perdita, di abbandono, di solitudine di desolazione permeano la scrittura al punto da risvegliare nello spettatore le paure più recondite e fargli sposare completamente le emozioni dei protagonisti ma non tanto da un punto di vista sentimentale, bensì da quello concreto di chi non ha alternative di come affrontare il mondo.
La fotografia di Ciprì è una tavolozza dalla quale attingere tutti i colori per descrivere gli stati d'animo che si susseguono sullo schermo e che impreziosisce ogni sequenza al punto da consegnare questa piccola gemma nell'empireo dei film politicamente scorretti e stilisticamente ricchi così diffusi in Italia, così poco capiti all'estero.
Questo sì che è cinema.
confermo, film splendido...aspetto la recensione ri Reality!
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