“Ci sono film che non si vedono su di uno schermo. Ci sono scene che sei obbligato a vivere e sulle quali non puoi chiudere gli occhi. Che ti porti dentro e che riaffiorano nei momenti di quiete, oppure, portate da una scintilla casuale. Ogni vita per miserevole che sia è l'unico vero film del quale saremo mai attori e registi. Nel quale non sempre riusciremo a decidere ruoli e finali ma che porteremo sempre con noi, impresso nella memoria più profonda, unica ed esclusiva. Nessuno potrà interpretarci né leggerci bene quanto potremo fare noi stessi che siamo i soli ad avere la visione più ampia e totale delle cose. Il nostro pianto, il nostro dolore, rimangono incisi più a fondo di qualunque altra gioia perché è solo da questi che può nascere la forza di reagire. La nostra carezza più intima sarà il ripercorrere questi fatti scandalosi o tragici con la tenerezza di chi segue fatti destinati ad essere, con la sola certezza che siano inevitabili. Essere per continuare ad essere.”

venerdì 23 maggio 2014

American hustle

USA 2013

Irving Rosenfeld, imbroglione di professione, è cooptato da un agente dell’FBI per collaborare ed aiutarlo a smascherare un giro di corruzione a sfondo mafioso. Sydney Prosser è la sua partner criminosa che  sconvolgerà gli equilibri.
La rievocazione seventies è perfetta e richiama atmosfere di nostalgica frenesia. Il racconto dell’inganno si snoda lento e sincopato, a volte ridondante, con qualche buco di sceneggiatura e lungaggine di troppo; ma l’accuratezza dei costumi e dell’ambientazione ci rimanda a tempi andati in cui, forse, le vicende si svolgevano davvero così. Di certo, così venivano girati i film; video patinati, capigliature fonate e tanto, tanto glamour! Una messa in scena fantastica.
Altrettanto magnifico è Christian Bale, col suo più che astuto lestofante dal “riportino” come “Tallone d’Achille”. Nevrotico, paranoico, calcolatore, indecoroso ai limiti della decenza, sbattuto sullo schermo così com’è, senza paura di mostrarsi, abbietto e patetico. La prima sequenza, nella quale ci viene presentato, non può che  rimandarci ad un arguto parallelo: l’omuncolo che si dedica all’accurata architettura della pettinatura, nel disperato tentativo di nascondere la calvizie incipiente che lo affligge, per poter vestire con maggior credibilità i panni del boss ha lo stesso sguardo compiaciuto di Patrick, folle omicida in “American Pshyco”. La preparazione mattutina, la voce fuori campo che descrive i singoli passaggi sono identiche ma siamo agli antipodi; goffo e sgraziato l’uno, bello come il sole l’altro. Patrick si prepara con maniacale dedizione in un appartamento fantastico che guarda Manhattan mentre Irving lo fa in un albergo senza nome. Se il primo si galvanizza alla luce della sua mente malata, curando il corpo come un tempio per prepararlo al contatto col mondo, il secondo lo fa difendendosi dallo scherno, confrontandosi in solitudine col suo fisico sfatto. Bale interpreta entrambi con uguale accuratezza e precisione mettendo in Irving tutta l’umanità che non può concedere a Patrick, intriso di follia. Una prova d’attore fantastica che parte dal fisico per modellare l’anima, dedicata però ad un film che lo tira a fondo, impedendogli di mietere premi.
Sullo sfondo, una storia d’amore che sdogana tutti i personaggi in un finale di assoluzione corale in cui la grande menzogna finisce per rivelarsi plateale cinismo ed ognuno vomita la sua verità senza appello.

Omnia vincit amor… davvero? 

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