“Ci sono film che non si vedono su di uno schermo. Ci sono scene che sei obbligato a vivere e sulle quali non puoi chiudere gli occhi. Che ti porti dentro e che riaffiorano nei momenti di quiete, oppure, portate da una scintilla casuale. Ogni vita per miserevole che sia è l'unico vero film del quale saremo mai attori e registi. Nel quale non sempre riusciremo a decidere ruoli e finali ma che porteremo sempre con noi, impresso nella memoria più profonda, unica ed esclusiva. Nessuno potrà interpretarci né leggerci bene quanto potremo fare noi stessi che siamo i soli ad avere la visione più ampia e totale delle cose. Il nostro pianto, il nostro dolore, rimangono incisi più a fondo di qualunque altra gioia perché è solo da questi che può nascere la forza di reagire. La nostra carezza più intima sarà il ripercorrere questi fatti scandalosi o tragici con la tenerezza di chi segue fatti destinati ad essere, con la sola certezza che siano inevitabili. Essere per continuare ad essere.”

lunedì 19 novembre 2012

Diaz

Diaz
di Daniele Vicari

I fatti del G8 raccontati a partire dalla morte di Carlo Giuliani, pone Vicari al di sopra delle parti, riguardo alle considerazioni del caso. Non si schiera, non accusa, non discolpa ma inizia da lì la sua narrazione, a partire da un clima claustrofobico e compromesso al punto da opprimere chi al G8 è rimasto, nonostante ormai, la guerriglia fosse dilagante.
Descrive i buoni e i cattivi, ce li mostra, li presenta e li segue nelle loro azioni, costringendoci a guardare ciò che fu commesso.
Il senso d'impotenza di fronte a quanto non appartiene ad un passato remoto ma alla storia di tutti noi (chi non ricorda cosa faceva durante quella settimana? Chi non lesse le cronache in tempo reale? Chi non si è schierato per una o l'altra parte?) rimane, pesante, al termine della proiezione. L'orrore per quei manganelli in faccia a ragazzi arresi, a mani in alto, le urla di chi, inseguito, ha cercato scampo, i denti persi, le chiazze di sangue che si allargano sotto i corpi inermi; tutto questo non può essere dimenticato e se vuole puntare il dito contro i potenti, di sicuro, il film lo fa anche salvandone le falangi armate.
La voglia di gridare "basta" nasce da dentro e diventa quasi un grido fisico; difficile la visione che disturba al punto da essere a tratti insostenibile.
La guerra, anche quando è sotto casa, è orribile per il contributo di sangue che chiede, lucidamente, facendo un bilancio costi/benefici e triturando tutto quanto si trova sul suo cammino.
Non ci sono guardie, nè ladri, ma solo uomini travolti da un evento rivelatosi più grande di loro, compreso chi, ha creduto di poterne dominare le conseguenze.
L'inquadratura dei caschi blu che irrompono nella scuola, attraverso il portoncino principale, sbattendo e spingendosi, accompagnato dalle urla, dal rumore plastico degli scudi antisommossa e degli anfibi sul pavimento trasmette l'incapacità di arginare un dramma annunciato e l'inerzia col quale fu respinto, come mille biglie in un flipper troppo vecchio.
Lo sdegno, segue lo spettatore fuori dalla sala per quel senso d'impotenza nel non aver fatto nulla allora dimenticando troppo in fretta.
Un ottimo Vicari che, dai tempi di "Velocità massima" ha fatto un considerevole salto di qualità.

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